
Celebranti e ascolto attivo
Molte persone pensano che sentire ed ascoltare siano quasi sinonimi. In fondo, mentre gli occhi possiamo chiuderli semplicemente abbassando le palpebre, se non vogliamo guardare o non vogliamo vedere, le orecchie non si possono chiudere, sono sempre ricettive.
Eppure saper ascoltare non è affatto un’abilità scontata.
Voi vi ritenete dei bravi ascoltatori o delle brave ascoltatrici? Quindi saprete che:
se state dando un consiglio (anche un buon consiglio), non state ascoltando;
se state spiegando a chi vi parla perché non dovrebbe sentirsi così, non state ascoltando;
se state dicendo che anche voi avreste da lamentarvi, non state ascoltando;
se state proponendo una soluzione, non state ascoltando;
se state aspettando il vostro turno di parola, non state ascoltando;
se state raccontando che una cosa simile è capitata a voi o a qualcuno che conoscete, non state ascoltando;
se sapete esattamente cosa l’altrə sta per dirvi: no, non state ascoltando.
Ascoltare attivamente l’altrə significa proprio mettersi in una predisposizione di silenzio interiore, oltre che fisico. Significa disporsi sulla lunghezza d’onda dell’altra persona e risuonare delle stesse vibrazioni. Significa ascoltare anche tutte le emozioni che vengono suscitate in noi stessi. Significa prendersi il tempo per essere sicuri di aver com-preso e poi proporre dei segnali di rimando per averne la conferma.
Detto questo, appare evidente che un/una celebrante DEVE saper ascoltare. Le idee, le proposte, le scelte, le parole, i consigli, le soluzioni, tutto ciò che il/la celebrante deve fare, per concretizzare il proprio lavoro, vengono solo dopo l’ascolto attivo ed empatico.
Una sposa, uno sposo, i parenti del defunto, i genitori del bebé, il nuovo arrivo e la sua famiglia adottiva, gli umani di un amico a quattro zampe, chiunque chieda di celebrare una cerimonia, qualunque cerimonia, sta innanzitutto chiedendo di essere ascoltatə nel proprio sentire, qualunque esso sia.
È da qui che tutto ha inizio.